Siracusa e Noto: Quando il turismo può uccidere i luoghi

Siracusa e Noto: Quando il turismo può uccidere i luoghi

di Emanuele Gentile
NOTO – Il turismo può uccidere i luoghi? Non è un’ipotesi campata in aria. Prendiamo come riferimento Siracusa e Noto. Sono le città simbolo del turismo in provincia di Siracusa. Un favorevole trend del mercato turistico nazionale e internazionale le ha designate quali mete ideali per passare le vacanze. La conseguenza di tale nomea che oramai Siracusa e Noto si sono conquistati è un incremento notevolissimo dell’afflusso dei turisti. Anzi, spesso, si rasenta il c.d. “overturismo”. In sintesi i luoghi più significativi delle succitate località sono letteralmente presi d’assalto. Infatti, non passa giorno che la realtà ci fa vedere quali sono le conseguenza dell’overturismo: traffico impazzito, rumori molesti, spazi pubblici quasi inagibili, regole sui de hors non rispettate, sporcizia e tanto altro ancora. Basta semplicemente farsi una passeggiata in Ortigia per capire di cosa stiamo parlando. L’overturismo si concilia con luoghi patrimonio dell’umanità? E’ bene ricordare che Siracusa e Noto lo sono. Evidentemente no. Sono luoghi così carichi di storia e monumenti che la prima azione da porre in essere è la tutela dei medesimi. Ricordo ai lettori che è stato firmato al momento del conferimento del titolo di luoghi patrimonio dell’umanità un protocollo molto rigido e complesso riguardante proprio la gestione dei siti. In breve, è necessario addivenire nel più breve tempo possibile ad un equilibrio fra turismo e esigenze di conservazione del patrimonio. E’ lapalissiano che la ragione del turismo risiede nel fatto che quei luoghi custodiscono tracce significative del genio umano. Inoltre, l’overturismo comporta un pericolo piuttosto subdolo. Ossia l’omologazione di quei siti a un trend mondiale che li vuole tutti uguali e simili. Ciò comporterebbe la scomparsa, l’elisione delle caratteristiche precipuo di quei luoghi e di quei siti. Un pericolo da scongiurare con massima urgenza. Da quanto accennato emerge in maniera evidente che è ora di correre ai ripari sviluppando azioni – come abbiamo detto poc’anzi – tese ad una effettiva e reale equilibratura fra le esigenze del turismo e le esigenze inviolabili dei siti. La nostra provincia in quest’ottica ha la necessità di compiere un salto di qualità certificabile e serio. Non si può più andare avanti con una programmazione scadente e claudicante. Dobbiamo comprendere che siamo fortunati per aver ricevuto dalle generazioni passate codesti tesori e abbiamo l’obbligo di conservarli, tutelarli, promuoverli e valorizzare con particolare piglio e cura. Bilanciando tutto questo con la naturale propensione al turismo che oramai si registra da anni nel territorio aretuseo. Perché a scanso di equivoci è opportuno ricordare che il turismo può risolvere molti dei nostri problemi. Ma va fatto “cum grano salis”. Cosa significa? Significa che finalmente tutti gli attori della filiera turismo devono poter collaborare realmente al fine di elaborare una piattaforma comune di interventi mirati e specifici. Gli interventi devono essere ad ampio raggio poiché la conservazioni dei beni artistici e il turismo necessitano di un approccio multidisciplinare e multilivello. Vanno indicati gli obiettivi, il come raggiungerli, le dotazioni finanziarie, il crono programma, le professionalità coinvolte, le rispettive sfere di competenza. Insomma, dobbiamo sviluppare verso queste problematiche (siti e turismo) un atteggiamento nuovo e dinamico perché il rischio è che l’anarchia presente si sviluppi ancora di più rendendo il tutto ingovernabile e problematico. In sintesi si tratta di un’assunzione di responsabilità nei confronti di un patrimonio che ha una rilevanza mondiale visto che è stato certificato dall’Unesco. Il cerino è senza dubbio nelle nostre mani. Non lasciamo bruciarlo in malo modo. Qui si tratta del nostro avvenire.

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