Carlentini, Lentini e Francofonte, l’alluvione ha provocato la distruzione del territorio

Carlentini, Lentini e Francofonte, l’alluvione ha provocato la distruzione del territorio

di Emanuele Gentile

CARLENTINI – Il nostro territorio ha vissuto nell’intermezzo fra giovedì e venerdì scorsi momenti molto drammatici. E’ sembrato che la natura si ribellasse decidendo di rivoltare il nostro territorio alla stregua di un calzino. Per fortuna non è scappato il morto. Meno male! Tuttavia, se intendiamo che avvenimenti di tal violenza non si ripetano più, o abbiano delle conseguenza meno evidenti, dobbiamo pur trarre alcuni insegnamenti. Il peggior servizio che faremmo nei confronti del territorio dove siamo nati e viviamo sarebbe quello di rimanere sordi e inattivi.  D’accordo che il clima si è modificato in senso sfavorevole nei nostri confronti. Infatti, esperti dicono che il limite nord delle piogge sub-tropicali si è spostato verso il Mediterraneo, mentre alcuni decenni fa era confinato al lembo estremo meridionale del Sahel. Proprio questo evento attinente alle dinamiche del clima dovrebbe indurci a modificare alcuni nostri comportamenti. Il problema centrale è che da noi il territorio è stato abbandonato. La più alta forma di distruzione del medesimo.  bbandonandolo lo abbiamo reso fragile e non in grado di sopportare i violenti colpi del maltempo. Lo abbiamo – ripeto – abbandonato. Prima il territorio per i nostri nonni era tutto. Era il territorio il motivo di sostentamento per noi tutti. Era la terra che ci dava da mangiare. Con il progressivo inurbamento cittadino delle nostre comunità la terra e il territorio sono diventati pressoché inutili e, pertanto, destinati all’abbandono. Dovete sapere che per i nostri nonni la terra – e quindi il territorio – era tutto. Era il loro “eldorado”. Intere generazioni di carlentinesi, francofontesi e lentinesi hanno speso la loro vita per rendere curate le terre del nostro circondario. Un lavoro immane, ma che rendeva. Anche in termini di sicurezza del territorio. Al contrario di oggi dove il territorio non è più al centro del nostro vivere. Sembra un qualcosa staccato dal nostro stesso essere. Abbiamo, in sintesi, sia noi che il territorio preso due vie completamente differenti ed in opposizione fra di loro. Un’opposizione dannosa e pericolosa.

Questo abbandono ha causato che i declivi delle colline ove sorgevano i giardini, una volta amorevolmente curati, sono destinati al dissesto idrogeologico in quanto maggiormente aggredibili dalle intemperie. I canali che una volta servivano a regolare il flusso delle acque non sono stati più sottoposti ad opportuna manutenzione. La stessa cosa dicasi per i bacini dei fiumi presenti nel nostro territorio lasciati in stato di completo abbandono. Che dire poi di ampie zone del nostro territorio sottoposte alla selvaggia aggressione dell’abusivismo edilizio? Oppure di innumerevoli esempi di come non si tutela un territorio? Vogliamo, inoltre, parlare di aree divenute con il tempo discariche a cielo aperto? In breve, tutto questo denota un disinteresse criminale nei confronti del territorio.

Territorio che ad ogni evento pluviometrico ci presenta il conto. E se non facciamo qualcosa di serio e programmato andrà sempre peggio. Perché è venuto davvero il momento di riprendere il dialogo con il nostro territorio. Dialogo interrotto in quanto abbiamo pensato al progresso materiale relegando la base del nostro stesso vivere – cioè il territorio – alla periferia del nostro pensiero. Riprendere contatto con il nostro territorio è un fatto non più procrastinabile. La cura del nostro territorio – ossia far ritornare il territorio al centro della nostra esistenza – potrebbe rivelarsi il volano decisivo per ridare senso a delle comunità allo sbando da parecchi anni. Curare e tutelare il territorio è necessario per assicurare un futuro alle suindicate comunità. Investire su un territorio da curare e promuovere è ben più positivo che spendere risorse solo per medicare le ferite. Ritorniamo, dunque, al territorio. In maniera positiva perché fino ad oggi l’abbiamo vissuto come l’estensione del nostro io concependo il rapporto noi/territorio alla strega di un bene da usare e non da tutelare.

 

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