Il sociologo Prof. Francesco Pira: “Il cyberbullismo è figlio dell’emergenza educativa, la repressione non basta. Lavorare sulle famiglie”.  Il docente dell’Università di Messina ha commentato il gravissimo episodio di violenza fisica e psicologica  di Carlentini

Il sociologo Prof. Francesco Pira: “Il cyberbullismo è figlio dell’emergenza educativa, la repressione non basta. Lavorare sulle famiglie”. Il docente dell’Università di Messina ha commentato il gravissimo episodio di violenza fisica e psicologica di Carlentini

di Francesco Pira *

Quanto è accaduto nelle ultime ore a Carlentini, il caso della minorenne che ha picchiato la coetanea, ed il video di questa violenza fisica prima e psicologica poi, è gravissimo. Bullismo e cyberbullismo diffuso sulla rete come se fosse un trofeo da mostrare all’umanità. Grave anche che ci fossero altre presunte amiche della vittima e della bulla a riprendere per documentare un gesto vergognoso. Da tempo sostengo il cyberbullismo è figli dell’emergenza educativa. Non basta reprimere, la legge non ha dato i frutti sperati. Bisogna lavorare su pre-adolescenti e adolescenti, ma anche sulle famiglie che sembrano totalmente scomparse dai radar.
Una delle caratteristiche principali che emergono dalla mia ultima ricerca, relativa alle dinamiche comunicative social, è l’individualismo, la concentrazione su di sé. Il voler offrire una certa immagine di sé agli altri attraverso i social network, giungendo a limiti estremi. L’elemento principale da non sottovalutare è quel sentiero della solitudine che abbiamo iniziato a percorrere. Sempre connessi col mondo, ma sempre più isolati e chiusi in noi stessi. Un processo che spinge a riflettere ancora una volta sui rischi della “vetrinizzazione”, dove gli individui si espongono pur di ottenere qualche “like” su Facebook o qualche “cuoricino” su Instagram. Inoltre, non può essere sottovalutato il nostro continuo desiderio di postare le nostre foto. Ricordiamoci che le nostre immagini diventano accessibili a tutti e che possono essere utilizzate da terzi. Quindi, bisogna stare molto attenti a quello che decidiamo di pubblicare. Una dipendenza dai social e dal gruppo dei pari che genera un’ulteriore conseguenza. Si, perché Sui social tendiamo ad assumere modelli di identità predeterminati pur ritenendo di esprimere la nostra individualità, attuando una sorta di mimetizzazione, con la quale cerchiamo di assomigliare a questi ambienti online e, così facendo, rinunciamo a noi stessi.
Ecco che diamo vita ad un io performativo con il preciso scopo di ottenere il gradimento del proprio pubblico. L’utilizzo dei diversi social media avviene in funzione degli obiettivi di comunicazione e del pubblico a cui si rivolgono. Più profili. Più pubblici. Abbiamo due aspetti molto importanti da valutare e da analizzare costantemente per riuscire a fronteggiare le situazioni più difficili e complesse.

Il primo è la democratizzazione delle relazioni all’interno della famiglia, dove: la libertà decisionale viene riconosciuta ai figli (spesso senza condizioni e in età precoce); avviene la pariteticità di diritti e doveri tra genitori e figli (ad esempio i piccoli servizi, su cui viene rivendicato il diritto alla turnazione con il risultato che lavorano sempre i genitori); si assiste alla perdita di autorità da parte dei genitori e il tentativo frequente di sostituirla con un innalzamento del tono affettivo.

Il secondo fenomeno è l’esplosione della comunicazione, nella famiglia dove emergono: la pervasività (i media mobili e connessi sono sempre con noi); la socialità mediata (prolunga oltre i limiti della presenza le relazioni e le interazioni); la naturalità (la tecnologia “scompare” sempre più dentro gli oggetti d’uso comune facilitando la nostra appropriazione di essi). Le relazioni famigliari nell’era della generazione multitasking mostrano come non si sia più tempo per guardarsi negli occhi.
Mentre i nostri figli chattano anche noi chattiamo e non perdiamo tempo per accedere su Whatsapp o sulle piattaforme social.
La comunicazione mediata pare più facile, rapida, efficace. Il risultato è un’estroflessione generalizzata di aspetti personali. Questo comporta che la comunicazione si fa sempre più rapida e superficiale.
Purtroppo, la conseguenza è che diventa sempre più alto il livello di incomunicabilità tra figli e genitori.
Sono tantissimi i racconti di genitorialità fragile senza supporti che tentano la comunicazione con i figli divisi tra soggiorno e camera da letto collegati attraverso le chat dei social network. L’isolamento di genitori che non riescono a dialogare e che poco conoscono dei propri figli. Ma i genitori non sono i soli, l’indebolimento è generale.
In particolare, proprio i giovani stanno sperimentando nuove strategie di adattamento al contesto dei pubblici in rete. Una rappresentazione di sé nella quale l’intimità riveste ruolo chiave evidenziando tutte le criticità legate anche alla definizione della propria sfera sessuale, ancora da svelare e comprendere fino in fondo. Questa estrema fluidità delle identità può portare a un rallentamento del processo di costruzione delle stesse, avendo come ulteriore conseguenza quella di rendere precarie e “leggere” le relazioni sociali come conseguenza della loro costruzione all’interno degli ambienti social.
La possibilità di autodefinirsi avviene nella doppia veste di consumatori e di prodotto di consumo per altri.
Un aspetto così importante del processo individuale di definizione della propria identità sociale non è più il risultato del nostro percorso all’interno della comunità a cui abbiamo deciso di aderire ma è guidato dalle opzioni di una piattaforma tecnologica.
Il consumismo emozionale sta prendendo il sopravvento e il sociologo Bauman ha parlato di comunità guardaroba, sottolineando la provvisorietà delle relazioni. Stiamo entrando in un ambito di grande provvisorietà che si caratterizza per un uso delle relazioni piuttosto che di un processo di costruzione di relazioni. Ciò significa di fatto consumo delle stesse che vengono scartate quando non più corrispondenti ai propri desideri, con la conseguenza del concretizzarsi di quelle comunità guardaroba.
I social sono gestiti da imprenditori che hanno fiutato quanto siamo disposti a cedere le nostre emozioni, la nostra privacy, la nostra intimità per farci giudicare e approvare dagli altri. Emerge un forte desiderio di “vetrinizzazione” che ci porta ad esporci su queste piazze virtuali e molto spesso esponiamo anche gli altri per ottenere “like” su Facebook o “cuoricini” su Instagram. Ecco, perché bisogna essere sempre perfetti per essere apprezzati ed ammirati da chi ci guarda come se fossimo realmente esposti in vetrina. Così come essere protagonisti di fatti gravi e violenti, come quello di Carlentini, fa diventare i carnefici eroi. Protagonisti di episodi pieni di cattiveria e disumanità, che poi vengono emulati. Non c’è più tempo da perdere. Educazione alle emozioni e all’uso consapevole delle nuove tecnologie per bambini e adolescenti, scuole per genitori. Questa è la strada maestra. Una forte alleanza educativa di istituzioni, associazioni, Chiesa. Altrimenti sarà sempre peggio.

*Professore Associato di Sociologia- Delegato del Rettore alla Comunicazione
Direttore Master in Esperto Comunicazione Digitale PA e Impresa
Università degli Studi di Messina

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