Covid-19, parte da Siracusa la fronda dei ristoratori: “O ci ascoltate o non riapriamo”

SIRACUSA – Esasperati e preoccupati per il futuro in vista della riapertura sono un centinaio di ristoratori e titolari di bar della provincia di Siracusa che hanno scritto una lettera al governo nazionale. Le loro attività commerciali, oltre che nel capoluogo, si trovano ad Avola, Noto, Cassibile, Rosolini, Pachino, Portopalo, Marzamemi, Palazzolo Acreide, Floridia, Aci Castello, Catania.
“Se le soluzione per riaprire al pubblico sono quella finora trapelate, separazioni di plexiglass e riduzione consistente di tavoli – si leggenella nota – noi rimaniamo chiusi. A queste condizioni – proseguono – non possiamo aprire. Queste non sono le condizioni per fare ristorazione. Non abbiamo ancora ricevuto i 600 euro di marzo. I dipendenti – aggiungono – non hanno ancora ricevuto la cassa integrazione di marzo e siamo a fine aprile. E noi dovremmo riaprire, con il nostro modello di business dimezzato e con un economia che è al collasso, ma con lo stessa tassazione di prima ? No, grazie”.
Arriva poi la richiesta al premier di confrontarsi con i ristoratori, con le associazioni di categoria: “Qui c’è gente che vuole lavorare – si legge ancora nella lettera – ma per lavorare ci devono essere le condizioni. Già erano difficili prima le condizioni che lo Stato ci dava per fare impresa. Non possiamo riaprire alle condizioni che sentiamo dire in questi giorni. La tassazione sulla piccola e media impresa ammonta al 60/65%. Non ce la facevamo prima e non ce la faremo se apriremo fra 15 giorni nella stessa Italia fiscale di prima. Non vogliamo prestiti, né 600 euro, vogliamo fare il nostro lavoro. Vogliamo farlo nelle condizioni dignitose per farle: economiche e sociali. Oppure non apriamo. Non paghiamo nessuna tassa. Noi fino ad oggi, abbiamo sempre mantenuto le nostre responsabilità. Adesso tocca a voi agire – conclude la nota – per non dichiarare il fallimento di una intera nazione”.

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