Psicoanalisi della morale o morale della psicoanalisi?

Psicoanalisi della morale o morale della psicoanalisi?

Spesso ci affidiamo, nei momenti di difficoltà, a persone (prima che “professionisti”) delle quali conosciamo solo “la corda civile”, quella pubblica, quella edulcorata dalle nefandezze e dall’immoralità. 

Gente che sguazza in un’acqua torbida, fatta di giorni pieni di “miseria” personale e professionale. Società ammalate dalla “finzione scenica di branco” e da rapporti di puro scambio, il famoso “do ut des” che copre ogni cosa, tanto da far diventare morale o professionale  ciò che non lo è e non lo potrà mai essere. Poi, poco importa se nessuno sa che ci si è “venduti” per una “valutazione professionale”, provocando un ulteriore, terribile e gratuito dolore a chi già vive una grande sofferenza senza CONOSCERE nulla di loro. Per essere chiari come se un medico, senza mai aver visto un paziente, lo “condannasse” certificandone una patologia, solo per riscuotere qualche spicciolo o un piccolo consenso all’interno di quella cerchia di “mondo immondo” dove risultano falsi anche i quadri appesi alle pareti. Tuttavia sono i ben conosciuti manichei della doppia morale (quello che faccio io è pappa, quello che fanno gli altri è cacca). Sempre a pensare, quindi, a fare la morale agli altri condannando magari “la challenge dei cicchetti, degli scambi di coppia, dei botti di capodanno” come diseducazione collettiva e di massa, con la complicità di genitori disattenti e complici della “perdizione” dei figli per poi riscuotere il consenso di facciata anche di qualche fetida “tonaca” di turno.

Un po’ come quello che è successo in questo Natale:”state tutti a casa” per dopo scoprire che, gli stessi, hanno festeggiato a suon di samba, trenino dell’amore, dell’amicizia e champagne.

Poi, ad un certo punto, l’opinione pubblica si sveglia, “il popolo” apprende, vede ed inizia a giudicare loro, i moralisti e qui viene il bello.

Ecco che entra in ballo il “delirio” dell’ego del falso moralista che, invece di chiedere scusa, tenta in tutti i modi di giustificare un proprio vezzo e divertimento personale (fino ad allora tenuto ben nascosto), con una finta confessione pubblica, aggrappandosi ad un ridicolo nozionismo scolastico e concettuale che, in piena sintesi, senza scomodare troppo Socrate, Galimberti, Schopenhauer o il marchese De Sade si conclude con una semplice ma efficace invocazione alla “corda pazza” che tenta di giustificare ogni cosa con un bel “𝑓𝑢𝑡𝑡𝑖, 𝑓𝑢𝑡𝑡𝑖, 𝑐𝑎 𝐷𝑖𝑜 𝑝𝑒𝑟𝑑𝑜𝑛𝑎 𝑎 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑖” (famoso proverbio siciliano che nella sua essenzialità rende bene l’idea).

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