Il ricordo di Papa Francesco: cronache di pellegrini in cammino verso la speranza.

Il ricordo di Papa Francesco: cronache di pellegrini in cammino verso la speranza.

di Ludovico Falzone

L’abbraccio architettonico delle colonne di Piazza San Pietro in questi giorni è continuamente ricambiato con affetto dai fedeli che da tutto il mondo omaggiano il feretro di Papa Francesco, scomparso lunedì 21 aprile.
Un’atmosfera di smarrimento che si respira per le vie di Roma, pellegrini increduli costretti a muoversi tastoni senza più un pastore che, nonostante la fragilità delle sue condizioni, ha voluto salutare la sua gente, dimostrando anche con un filo di voce di aver sempre messo il popolo di Dio al primo posto fino all’ultimo rispetto alla salute personale.
Sic transit gloria mundi: ognuno ripercorre le tappe fondamentali di questo lungo pontificato di dodici anni, iniziato proprio con un patto tra il Pontefice e il popolo, annunciato dalla Loggia delle Benedizioni: “E adesso, incominciamo questo cammino. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi”. Da quel momento Francesco è stato per tutti un uomo semplice al servizio della comunità. Spogliatosi delle consuete sontuosità che si addicevano ai Pontefici prima di lui, ha agito sempre con semplicità, fondando il suo Ministero su una comunicazione fatta di gesti umili e di simboli di immediata efficacia, raggiungendo i confini del mondo dai quali era giunto.
Come un buon padre, ha indicato la via da seguire, rompendo le righe e spesso anche i protocolli istituzionali con un sorriso rassicurante di estrema bontà. La sua figura carismatica ha attratto anche le persone che dalla Chiesa si erano allontanate, che da lui hanno imparato una lezione di etica incentrata sul rapporto tra esseri umani, che vivono la Casa Comune nella quale c’è spazio per tutti.
Papa Francesco è stato un punto di riferimento anche per le istituzioni, che lo hanno coinvolto per la prima volta nella storia ad un evento politico mondiale come il G7, proprio per il suo modo di esaltare la pace soprattutto in tempi di guerra, che a prescindere dal credo, rimane comunque una via per raccontare Dio.
Facendoci largo tra la fitta trama di persone che gremisce Via della Conciliazione e Piazza San Pietro, abbiamo raccolto le testimonianze di alcuni fedeli, che portano nel cuore e nella mente un ricordo legato al Santo Padre, cercando lucidità nella mestizia del momento, ma rammentando il monito “Fratelli Tutti”, tanto caro al Santo Padre da essere il titolo di una sua enciclica.
Mancano poche ore all’ultimo saluto che il mondo farà ad un uomo che ha segnato un punto di svolta nella storia della Chiesa, – tra le tante novità, è stato il primo Pontefice a parlare di Intelligenza Artificiale, ad accogliere in Vaticano le vittime di abusi e a parlare di unioni tra persone dello stesso sesso – un’eredità pesante di cui il prossimo Pontefice si dovrà fare carico.
E così l’uomo dal sorriso dolce se ne va per sempre, avendo speso tutte le sue energie per riportare il mondo ad avere fiducia nella speranza e nella misericordia, ma soprattutto a costruire ponti tra gli esseri umani. I fedeli perdono non solo un Pontefice, ma un amico e un confidente. Tra pochi giorni, come da sue volontà, egli giacerà vicino alla propria Madre nella Basilica di Santa Maria Maggiore, lo stesso luogo che occupa le reliquie della Sacra culla, lasciando l’umanità intera nell’attesa di una nuova rinascita.

La testimonianza di Don Juan Carlos Molina, prete della diocesi di Avellaneda-Lanús, suffraganea dell’arcidiocesi di Buenos Aires in Argentina.

Come sacerdote argentino, qual è il ricordo che lo lega a Papa Francesco?

«La mia esperienza di vita pastorale ha come background lo stesso contesto che il Papa Francesco ha aiutato a sviluppare in Argentina, nella chiesa latino-americana e adesso nella chiesa universale in questi anni. La sua assenza senza dubbio costituisce per me una grandissima mancanza. Gli ho sempre riconosciuto due qualità fondamentali: l’amore per i poveri e la capacità umana di mettersi in rapporto con quelle persone che sono periferiche alla realtà ecclesiale. Infatti, in questi giorni mi colpiva tanto pensare che quando è stato eletto Papa sono state soprattutto le persone di Villa miseria, cioè dei quartieri popolari in Argentina, a festeggiare, perché era stato scelto il loro padre Jorge. Era colui il quale andava in visita da loro, li conosceva per nome.
In questi giorni, mi commuove tanto pensare che la gente di Gaza non riceverà più quella chiamata quotidiana, avere un rapporto così vicino alla gente in bisogno e rappresentare la figura del padre di quello stesso popolo significa che si è incarnato il Vangelo. Questo atteggiamento mi ha sempre colpito e lo sento come una sfida personale nell’esercizio del mio ministero.
Ho avuto la fortuna di incontrarlo due volte in questi ultimi mesi: una per pochi minuti insieme al mio vescovo, un’altra dopo un’udienza privata con il collegio. Durante la prima ero affascinato nel vedere il Papa quindi non ho proprio saputo cosa dire; della volta successiva ricordo, invece, soprattutto il momento in cui gli abbiamo domandato come viveva le contraddizioni che riguardano la possibilità di scegliere all’interno della Chiesa donne al servizio dell’autorità. Con molta umiltà e valorizzando tanto coloro i quali collaboravano con lui, il Pontefice ha precisato che non viveva questa contraddizione, anzi se ha potuto fare delle decisioni è stato proprio perché c’è stato un consenso anche da parte di quei cardinali che operavano insieme a lui nel discernimento. Un’altra cosa che ricordo con particolare emozione riguarda ciò che ci ha detto in merito alla confessione: «Perdonate sempre, sempre, sempre. Nel confessionale voi non siete professori di morale, ma siete soprattutto padri di misericordia». Mi ha colpito non per la novità della sua affermazione, ma per la profondità di un uomo che conosce il dolore della gente, che sa quanto seguire Gesù e avvicinarsi al sacramento della confessione costituiscano spesso uno sforzo per molti di noi. Dunque, sia che la persona venga a confessarsi perché è proprio pentita, sia perché proprio ha bisogno della misericordia di Dio in entrambi i casi, Papa Francesco aveva una grandissima Sapienza umana che credo non sia stata sempre valorizzata, ma è un aspetto che a me piace sottolineare. Ci sarebbe ancora tanto da dire di lui, è stato un Papa buono e speriamo che, come cristiani cattolici, possiamo ancora essere all’altezza di un Papa così.»

L’esperienza unica di Matteo, 23 anni, studente di giurisprudenza a Roma.

Ricevere il sacramento della riconciliazione dal Santo Padre è un privilegio unico e raro. Ci vuole raccontare l’emozione di questa esperienza?

«Mi lega a Papa Francesco un unico, ma profondissimo, ricordo personale che custodirò per sempre nel cuore, essendo improbabile che una occasione analoga possa riverificarsi.
Era il 2022, il 25 marzo, e il Papa avrebbe compiuto l’atto di consacrazione della Russia e dell’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria. Prima del solenne atto, il Papa avrebbe confessato alcuni fedeli e io ebbi l’onore di essere fra quei pochi. Provenivamo da ogni parte del mondo, avevamo esperienze, età, trascorsi differenti, ma eravamo accomunati dall’unica fede in Dio. Ero in ansia, trepidante, inquieto… attendevo il turno e quasi faticavo a ricordare i peccati da confessare che ripetevo in mente e che per terrore di dimenticare avevo annotato in un piccolo foglio. Dinnanzi al Papa non potevo rischiare di fare scena muta. A distanza cercavo di scrutarlo, dentro il confessionale in penombra non riuscivo ad individuarlo.
Giunto il mio turno impaurito mi inginocchiai. Era così strano vedere innanzi a me un uomo vestito di bianco al posto del consueto abito talare nero indossato dal confessore. L’austera figura del Pontefice innanzi a me, nel colloquio più intimo che per un credente possa esserci, mi spaventava ma alzati gli occhi incrociai il suo sguardo. I suoi occhi, dai quali vidi subito il mondo, riuscirono a penetrare e a raggiungere il mio cuore e i muscoli irrigiditi del mio corpo si sciolsero. Vidi il Papa protendersi verso di me e avvicinare l’orecchio come un nonno farebbe quando intende ascoltare il racconto di un proprio nipote. Improvvisamente dietro quegli abiti bianchi vidi l’Uomo Francesco, il confessore che con magnanimità ascolta il peccatore, lo consiglia, lo incoraggia e lo assolve. Parlai, mi confessai e mi confidai con lui; ricevetti sostegno ed incoraggiamento ed una richiesta… quella di pregare per lui.»

Il pensiero di Vincenzo Varagona, Presidente Nazionale UCSI (Unione Cattolica Stampa Italiana)

Come giornalista cattolico, secondo Lei, qual è l’impatto che il pontificato di Papa Francesco ha avuto sulla comunicazione?

«Abbiamo avuto il privilegio dell’unico Giubileo, che poi è stato il primo, con il Papa in presenza. Non ce lo dobbiamo dimenticare. In poco tempo Francesco, uno dei più grandi comunicatori, ci ha lasciato una mole tale di messaggi che credo non basterà una vita a elaborare e vivere.
Se n’è andato il giorno dopo la celebrazione della Pasqua. Ci ha accompagnati alla Pasqua di resurrezione, come a dire: vi ho portati a età matura, adesso tocca a voi.
Il primo grande messaggio è stato la decisione di vivere a Santa Marta. L’ultima grande decisione è di essere tumulato fuori dal Vaticano, a Santa Maria Maggiore. Il Giubileo è simbolo di cambiamento: ha vissuto la sua missione da Papa all’insegna del cambiamento.
E poi, a noi giornalisti, al Giubileo, accantonando le nove cartelle definite ‘indigeste’ all’ora di pranzo, ha detto: “Non limitatevi a tentare di raccontare la verità, cercate voi stessi di essere autenticamente veri”. Un uragano, questo papa.
Il papa ci lascia, inoltre, un grande mandato come giornalisti: lo ha detto chiaramente, un supplemento di umanità, di centratura sulla persona. Non lo chiede solo ai giornalisti cattolici. Chiede a tutti di rispondere a questa crisi di fiducia dilagante con uno scatto d’orgoglio, ma soprattutto con uno stile nuovo, che esprima empatia, capacità di ascolto ‘attivo’, cioè non soltanto di un messaggio verbale, ma dei messaggi, complessivamente, che partono dalla persona. E poi la capacità, tutta umana, di cambiare opinione, qualora gli elementi acquisiti dopo interviste e inchieste modifichino il quadro degli elementi a disposizione. Davvero un grande, Papa Francesco.»

Il ricordo di Giampiero, 23 anni, studente della Pontificia Università Lateranense di Roma.

Come studente della Lateranense, quali ritiene che siano le influenze del Pontificato di papa Francesco sulla vita di uno giovane iscritto a giurisprudenza?

«Il magistero di Papa Francesco e la sua testimonianza quotidiana della fede credo debbano essere lette in maniera un po’ diversa rispetto al pontificato di Benedetto XVI, ma non in termini di forte contrapposizione o in termini di riforma nella Chiesa. Papa Francesco veniva da un vissuto non legato alla curia romana e questo gli ha permesso di portare a Roma una parte della sua esperienza di vicinanza alla gente, rimanendo in linea con la sua opera di vescovo di Buenos Aires.
Francesco è stato portatore di semplicità, come testimoniato da una santa carmelitana a me cara che è Santa Teresa di Gesù Bambino del Volto Santo, la quale ci invita proprio a riflettere sulla semplicità di Dio, sui piccoli gesti d’amore, sui piccoli sacrifici, che non riguardano le penitenze ascetiche di tanti altri grandi santi, ma di umili azioni quotidiane. Proprio per questo credo che Papa Francesco abbia fatto breccia nel cuore della gente.
Un’esperienza ancora più personale è l’aver assistito all’istituzione della cattedra di “Ecologia e Ambiente” presso la nostra Università, che è stata solennemente proclamata con una cerimonia alla quale hanno presenziato sia il Papa sia il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I. Quindi, richiamo l’ultimo tema che è quello della pace, sul quale il Pontefice ha insistito ogni domenica durante l’Angelus; infatti, ha sempre sottolineato l’invito a pregare per l’Ucraina, per la Terra Santa e per i tanti paesi del mondo che sono in guerra. Un invito di un padre che non si stanca mai di richiamare l’umanità al bene, proprio com’è l’invito di Dio alla conversione verso i peccatori, lo stesso che il Papa ha rivolto costantemente a tutti con l’obiettivo di cambiare e disarmare i cuori.»

Il ricordo di Paolo, 18 anni, studente della Pontificia Università Lateranense di Roma.
Quali i sentimenti e i ricordi alla notizia della scomparsa del Santo Padre?

«Alla notizia della sua scomparsa, ho sentito in petto un peso di gratitudine e di impegno: Francesco mi ha insegnato che il Vangelo non è parola da custodire in un libro, ma vita da condividere con i poveri, i derelitti, gli ultimi.
La sua umiltà spontanea ridisegna il senso dell’autorevolezza: non dominio, ma nobile accompagnamento.»

Il commosso ricordo di Carmelo Cutuli, Presidente del CESTI (Centro Studi Istituzionali)

«La sua voce si è sempre levata forte per dare visibilità a chi non ne aveva, illuminando come un faro quelle periferie esistenziali troppo spesso ignorate dal mondo. Il suo pontificato ci lascia in eredità insegnamenti preziosi e indimenticabili. “I ponti sono sempre soluzioni, i muri mai” – ci ricordava con fermezza, indicando la via del dialogo e dell’incontro come unica strada per costruire un futuro di pace. Nella Fratelli tutti, citando Virgilio – “Sunt lacrimae rerum et mentem mortalia tangunt” – Papa Francesco ci ha mostrato come il dolore del mondo deve toccare le nostre menti e i nostri cuori. Ci ha insegnato a vedere l’interconnessione profonda tra le grandi sfide del nostro tempo: il grido della Terra ferita, l’ingiustizia economica, la tragedia dei migranti, i conflitti che frammentano il mondo in quella che lui definiva “una terza guerra mondiale a pezzi”. La sua testimonianza profetica, la sua capacità di leggere i segni dei tempi, il suo impegno instancabile per la giustizia sociale e la salvaguardia del creato rimarranno un riferimento per tutti noi.»

(fonte: https://ilcaffequotidiano.online/)

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