Carlentini, Il Malato Immaginario di Moliére.  L’ Essere Umano prigioniero di sè stesso. Teatro Turi Ferro

Carlentini, Il Malato Immaginario di Moliére. L’ Essere Umano prigioniero di sè stesso. Teatro Turi Ferro

CARLENTINI – Al teatro “ Turi Ferro “ di Carlentini ha avuto luogo una delle commedie di grande spessore della letteratura francese del 1773: “Il Malato Immaginario” di Molière ( 1622-1673 ), con la Regia di Guglielmo Ferro e la direzione Artistica di Alfio Breci. Grande interpretazione dell’attore Emilio Solfrizzi, circondato da bravissimi interpreti come: Lisa Galantini, Antonella Piccolo,Sergio Basile, Viviana Altieri, Cristiano Dessì, Cecilia D’Amico, Luca Massaro e con Rosario Coppolino. I costumi di Santuzza Calì, le scenografie di Fabiana Di Marco, le musiche di Massimiliano Pace, le foto di scena di Riccardo Bagnoli e la delegazione di produzione di Manuela De Baggis. Un’ attenzione particolare va alla regia di Guglielmo Ferro, che ha saputo rivisitare una commedia di tre atti, in maniera snella e chiara, nonostante originariamente articolata nei contenuti e negli intrecci dei personaggi, concentrando l’attenzione sulla tematica principale denunciata da Molière, a quel tempo. All’ interno della commedia, sul palcoscenico davanti agli occhi dello spettatore, Molière stesso denuncia la classe media, in questo caso rappresentata da alcuni medici di quell’ epoca, come portatori di un falso sapere  che non ha veramente a cuore la sorte del paziente.
Un’altro tema evidenziato da Molière è la superiorità morale dei figli rispetto a quella dei genitori. Così come nell’Avaro, i figli si dimostrano dotati di valori più alti e saggi dei genitori. I padri delle opere di Molière sono intrappolati nelle loro chiuse convinzioni, pronti a compromettere tutto, anche gli affetti, pur di mantenere alto il loro orgoglio. In nome del loro tornaconto personale, postpongono il bene dei figli, il cui futuro viene organizzato da loro, come se i figli non fossero parte principale della loro stessa vita. Nonostante tutto, i loro figli mantengono intatto il rispetto nei confronti dei loro genitori, seppur ribellandosi  per difendere il loro futuro, scegliendo un percorso di vita completamente diverso da quello stabilito dal disegno paterno. Infatti Angelica, è pronta a difendere il suo amore, più che a conquistare il denaro paterno o del marito medico che era stato scelto per lei. Per contro, Arpagone avrebbe voluto un medico in casa, che si occupasse di lui giornalmente e  gratuitamente. Un’altra analogia con  L’Avaro è la furbizia dei fedeli servitori che inventano sotterfugi per aiutare i giovani padroni contro il volere paterno. Nel caso del Malato immaginario, la cameriera Antonietta è la vera mente che permette all’ipocondriaco Argante, di conoscere la verità sulla vera natura delle persone che lo circondano, sulla loro buona fede e sulla trasparenza dei loro sentimenti, come l’affetto sincero della figlia Angelica. Molière è anche capace di far uso degli espedienti della produzione spagnola contemporanea, per soddisfare l’esigenza di divertire il pubblico attraverso la «verità» e la «naturalezza». La commedia, nonostante conservi ancora aspetti della tradizione della Commedia dell’arte, presenta aspetti innovativi, che per noi spettatori moderni risultano scontati e cioè, la presenza di un copione e l’assenza di maschere,  sostituite da personaggi veri e propri, caratterizzati dalla loro fisicità e peculiarità psicologiche. Così, con Il malato immaginario, Molière crea la finissima analisi psicologica del suo protagonista.

In tutta l’opera, Argante ipocondriaco e credulone, viene osservato nelle manifestazioni della sua malattia, per nulla fisica e tutta psicologica, e nei risvolti che questa ha nella vita di tutti i giorni, offuscando la sua capacità di giudizio.

La commedia si conclude con la promessa delle nozze tra Angelica e Cleante e una pseudo investitura di Argante stesso a medico.

Il pomeriggio del 17 febbraio 1673, Molière stesso, va in scena a Parigi con il suo ” Malato Immaginario” interpretando la parte di Argante. Molière era veramente malato e in presa alle convulsioni, qualche ora dopo morì.

Ogni opera d’arte, utilizza il proprio linguaggio per dare un messaggio morale allo spettatore o al lettore. In questo caso, Molière ha voluto sottolineare l’incapacità dell’uomo, a riconoscere le piccole, belle cose che lo circondano, gli affetti preziosi, quelli veri e la possibilità del dono della vita che potrebbe vivere fino in fondo, senza perdersi in situazioni inesistenti, costruiti solo nei meandri di un’oscura fantasia, fondata sul niente, priva di fondamenta e di riscontri reali.

Purtroppo, l’essere umano, molto spesso cade nella rete tramata da sé stesso, senza rendersi conto che così facendo non gode ciò che di bello gli è rimasto, perdendo la percezione delle piccole, grandi, belle cose che ha per le mani e non le sa afferrare, non le sa respirare, non le sa fare proprie, non le sa vivere, per creare un vissuto migliore, nella qualità del rapporto con gli affetti che lo circondano e lo stile di vita che dovrebbe costruirsi, libero da quel pensiero che da solo crea maglie contorte che intrappolano la salute mentale e fisica.

Chè strano! Sarebbe tutto più semplice…E invece no, l’uomo preferisce mantenere lo sguardo aperto solo sui suoi pensieri, che non sono materia…sono solo creazione effimera di un atteggiamento prevenuto verso la vita, verso il mondo, verso l’Amore.

Chè peccato non saper apprezzare tanto tesoro…E’ gratis!!

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